Da: Sulle arti e le scienze

Risorsa: traduzione

Autore: Jean-Jacques Rousseau

Traduttore: Martino Sacchi

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Introduzione
La ripresa del sapere e delle arti ha contribuito a purificare o a corrompere i costumi etici? Ecco cosa si tratta di esaminare. Che posizione devo prendere in questa questione? Quella che conviene a un uomo onesto che non sa nulla e che nonostante questo mantiene la stima di sé.
Sarà difficile, lo sento, rendere accettabile quello che ho da dire al tribunale davanti al quale sto per presentarmi. Come si può osare biasimare il sapere davanti a uno dei consessi più sapienti d’Europa, lodare l’ignoranza in una celebre Accademia e mettere insieme il disprezzo per lo studio in sé con il rispetto per gli autentici sapienti? Ho ben visto questa difficoltà, ma non mi ha fermato, perché mi sono detto: non è il sapere in sé che io tratto male, è la virtù che io difendo davanti a uomini virtuosi.

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Prima parte

Esistono i bisogni dello spirito, così come quelli del corpo. Questi ultimi sono quelli sui quali la società si basa, mentre quelli dello spirito la rendono piacevole da vivere. Il governo e le leggi forniscono sicurezza e benessere agli uomini riuniti in società; il sapere vacuo, la letteratura e le arti del lusso, in modo meno tirannico ma forse più efficace, stendono ghirlande di fiori sulle catene che opprimono quegli stessi uomini, soffocando il sentimento di quella libertà originaria per la quale sembrano nati, facendo loro amare la loro condizione di schiavi e plasmando così i cosiddetti «popoli civili». Il bisogno ha fatto nascere i troni, ma sono il sapere vacuo e le arti del lusso che li hanno consolidati. Potenti della terra, amate coloro che hanno talento e proteggete chi li coltiva! Popoli civili, curate questi talenti! Schiavi felici, è a loro che dovete la sensibilità delicata e raffinata di cui vi vantate, la dolcezza di carattere e la urbanità di costumi che rendono le relazioni tra di voi così avvincenti e facili: in una parola, le apparenze di tutte le virtù senza possederne nessuna.

Come sarebbe bello vivere da noi in Francia se il contegno esteriore fosse sempre lo specchio fedele delle disposizioni del cuore, se la decenza fosse la virtù, se le massime morali che predichiamo ci servissero veramente da regola per il comportamento, se il titolo di «filosofo» corrispondesse alla autentica filosofia! Ma così tante qualità si incontrano insieme troppo raramente, e la virtù non procede certo in pompa magna. La ricchezza dei gioielli che indossa ci fa capire che siamo davanti a un uomo ricco, e la loro eleganza lascia intendere che si tratta di un uomo di buon gusto: ma l’uomo sano e robusto si riconosce da segni completamente diversi. La forza e il vigore del corpo le troviamo guardando sotto le vesti rustiche di un contadino, e non sotto la patina dorata di un cortigiano. I gioielli sono estranei alla virtù almeno tanto quanto lo sono alla forza e al vigore dell’anima. Un vero uomo è un atleta cui piace combattere nudo, perché disprezza quei vili ornamenti che intralcerebbero soltanto l’uso della sua forza e che peraltro sono stati inventati nella maggior parte dei casi per nascondere qualche deformità.

Prima che le arti del lusso avessero plasmato il nostro modo di comportarsi e avessero insegnato alle nostre passioni a parlare in modo affettato, i nostri costumi erano rustici ma naturali, e le differenze tra i comportamenti indicavano a colpo d’occhio quelle tra i caratteri. La natura umana, in fondo, non era affatto migliore di adesso, ma gli uomini si sentivano più al sicuro perché potevano cogliere reciprocamente e con facilità le intenzioni dell’altro. Questo vantaggio, che noi oggi non sappiamo più valorizzare, risparmiava loro un sacco di vizi.
Oggi invece le più raffinate ricerche e una sensibilità più spinta hanno ingabbiato l’arte del piacere agli altri in un sistema deduttivo, e così regna nei nostri costumi una vile e falsa uniformità, e tutte le personalità sembrano essere ricavate da uno stesso stampo. La buona creanza si impone in ogni circostanza, e in ogni circostanza bisogna seguire la convenienza: sempre seguiamo le usanze, mai il nostro carattere. Non si osa più apparire ciò che si è, e gli uomini, che formano quel gregge che chiamiamo «società», sottoposti a queste continue pressioni, quando vengono a trovarsi nelle stesse situazioni si comportano tutti nello stesso modo, a meno che non intervengano motivi più forti che li distolgano dal farlo. Non si sa mai bene con chi si ha a che fare: bisogna quindi, per riuscire a capire chi ci è amico, aspettare i momenti decisivi della vita, il che significa che bisogna aspettare che sia troppo tardi, dato che sarebbe fondamentale sapere chi ci è davvero amico prima di affrontare tali momenti.
Che corteo di vizi accompagna questa incertezza sugli altri! Non ci possono più essere amicizie sincere, né autentica stima, né fiducia fondata. I sospetti, le cose non chiarite, le paure, la freddezza, la riservatezza, l’odio, il tradimento si nascondono continuamente sotto il velo uniforme e perfido della buona creanza, sotto questa urbanità di cui ci vantiamo tanto e che dobbiamo ai «lumi» del secolo in cui viviamo. Non si profana più il nome del Signore dell’universo spergiurando, ma lo si insulta con bestemmie che non offendono più le nostre orecchie, peraltro sempre attente alla minima mancanza. Non ci si vanta dei propri meriti, ma si distruggono quelli degli altri. Non si copre più un avversario di rozzi insulti, ma lo si calunnia con abilità. Gli odii tra le nazioni si spegnono, ma questo accade anche all’autentico amor di patria. Al disprezzo per l’ignoranza subentra un pericoloso scetticismo pirroniano. Alcuni eccessi vengono sì banditi, e alcuni vizi vengono effettivamente circondati dal disprezzo pubblico, ma altri invece vengono onorati col nome di «virtù»: bisogna o averli o fingerli. Se volete, esaltate pure la sobrietà dei saggi di questi tempi: io, per conto mio, vedo solo una intemperanza che è stata sì raffinata al massimo grado ma che è altrettanto indegna della mia lode quanto la sua artificiosa semplicità.

Questa è la «purezza» che i nostri costumi hanno raggiunto. È così che siamo diventati «gente per bene». Sono la letteratura, il sapere vacuo e inutile e le arti del lusso che devono rivendicare la loro parte di merito in questo bel risultato. Aggiungerò solo una riflessione: se un abitante di qualche paese lontano volesse farsi un’idea dei costumi europei basandosi sullo stato del sapere, sulla perfezione delle arti, sul decoro dei nostri spettacoli, sulle nostre buone maniere, sul modo affabile con il quale conversiamo tra noi, sulle nostre continue dimostrazioni di quanto siamo comprensivi e cortesi, e in una parola su questa gara continua a fare servigi gli uni gli altri, una gara cui tutti, indipendentemente dall’età e dalla condizione sociale, sembrano partecipare dall’alba al tramonto; ebbene, se quello straniero volesse basarsi solo su questo capirebbe i nostri costumi esattamente al contrario di quello che sono in realtà.

Dove non ci sono effetti, non serve nemmeno cercare delle cause. Ma qui c’è sicuramente un effetto, perché la depravazione dei costumi è qualcosa di reale: le nostre anime si sono corrotte nella stessa misura in cui le nostre conoscenze vacue e le arti del lusso si sono sviluppate sempre più verso la loro perfezione.

Segue una lunga digressione sulle antiche civiltà del Mediterraneo, dagli Egizi ai Romani, per sostenere che il momento di massimo sviluppo di ciascuna cultura fu all’inizio, quando i costumi non erano ancora indeboliti dal lusso, dalla ricchezza e dalle conoscenze inutili. Fino alla conclusione della prima parte del Discorso:

Ecco come il lusso, la dissolutezza e la schiavitù sono stati in ogni tempo la punizione per gli sforzi pieni di orgoglio che abbiamo fatto per uscire dalla felice ignoranza in cui la saggezza eterna ci aveva posto. Lo spesso velo con cui essa ha rivestito i modi con cui opera avrebbe dovuto avvisarci che non siamo affatto destinati a vacue ricerche. Ma ci sarà mai una qualche sua lezione di cui abbiamo saputo approfittare, o che abbiamo dimenticato senza subirne le conseguenze? O popoli, sappiate dunque una volta per tutte che la natura ha voluto tenervi lontani dalle conoscenze vuote e inutili, come una madre allontana un’arma pericolosa dalle mani del figlio. Tutti i segreti che vi tiene nascosti sono altrettanti mali dai quali vi tiene lontani, e la fatica che fate a imparare cose nuove è un grande vantaggio per voi. Gli uomini sono perversi, e sarebbero ancora peggiori se avessero avuto la sfortuna di nascere sapienti.

Seconda parte

Secondo una antica tradizione, passata dall’Egitto alla Grecia, l’inventore delle scienze era un dio nemico del riposo degli uomini. Che scarsa opinione quindi dovevano avere del sapere gli egizi stessi, presso i quali era nato? Il fatto è che questo popolo vedeva da vicino le sorgenti dalle quali nasce il sapere. Che si sfoglino gli annali del mondo o che si indaghi razionalmente per riempire le incertezze delle cronache, le origini della conoscenza umana non sono affatto quelle che ci piace immaginare. L’astronomia è nata dalla superstizione; l’eloquenza dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione e dalla menzogna. La geometria deriva dall’avarizia; la fisica da una vuota curiosità. Tutte le scienze, e la morale stessa, nascono poi dall’orgoglio umano. Le scienze e le arti nascono quindi dai nostri vizi: sarei meno in dubbio sui vantaggi che ci portano, se nascessero dalle nostre virtù.

Il difetto che sta alla loro origine si ritrova facilmente in quello di cui trattano. Cosa ce ne faremmo delle arti, senza il lusso che le alimenta? Senza le ingiustizie degli uomini, a cosa servirebbe la giurisprudenza? A cosa si ridurrebbe la storia, se non ci fossero tiranni, guerre, cospiratori? In una parola, chi vorrebbe mai passare la vita in sterili contemplazioni se ognuno di noi, semplicemente consultando i doveri dell’uomo e i bisogni della natura, potesse dedicare tutto il suo tempo alla patria, agli infelici e agli amici?

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Le nostre conoscenze sono inutili per quello che riguarda l’obiettivo che si propongono, ma sono ancora più pericolose per gli effetti che producono. Nate nell’ozio, nutrono a loro volta l’ozio; e il tempo che fanno perdere in modo irrecuperabile è il primo danno che per forza di cose infliggono alla società. In politica, come in morale, è già un grande male il semplice fatto di non fare del bene; e ogni cittadino inutile va considerato di per sé un danno. Rispondetemi dunque, illustri filosofi; voi che ci avete insegnato le ragioni per cui i corpi si attraggono nel vuoto; quali sono i rapporti tra le aree percorse in tempi uguali nelle rivoluzioni dei pianeti; quali curve hanno punti coniugati, punti di flessione e di inversione; come l’uomo vede tutto in Dio; come l’anima e il corpo si muovono all’unisono senza comunicare tra loro, come farebbero due orologi; quali astri possono essere abitati; quali insetti si riproducono nei modi più strani: rispondetemi, voi da cui abbiamo ricevuto così tante conoscenze sublimi: se anche non ci aveste mai insegnato queste cose, saremmo forse meno numerosi, o meno ben governati, o meno temibili, meno fiorenti o più perversi? E tornate quindi a meditare sull’importanza di quello che fate! Se i lavori dei più illuminati tra i nostri scienziati e dei nostri migliori cittadini ci procurano così poco beneficio, ditemi un po’ voi cosa dovremmo pensare di questa folla di scrittori oscuri e di eruditi oziosi che divorano in pura perdita le ricchezze dello Stato.

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I politici dell’Antichità parlavano sempre di costumi e di virtù, i nostri invece parlano solo di commercio e di denaro. Uno vi dirà che un uomo vale in un certo paese la somma per la quale di potrebbe venderlo ad Algeri; un altro, sviluppando lo stesso ragionamento, troverà che esistono paesi in cui un uomo non vale nulla, e altri in cui vale meno che nulla. Questi politici considerano gli uomini come se fossero mandrie di bestiame: secondo loro gli uomini hanno valore per lo Stato solo in funzione di quanto consumano. In questo modo un sibarita varrebbe quanto trenta spartani!Vi lascio indovinare quale di queste due Repubbliche, cioè Sparta e Sibari, è stata conquistata da un pugno di contadini e quale invece ha fatto tremare l’Asia….

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Tutti gli artisti vogliono essere applauditi. Gli elogi che ricevono dal pubblico sono la parte più preziosa della loro ricompensa. Cosa faranno quindi per ottenerli, quando hanno la sfortuna di nascere in un popolo e in un periodo storico nei quali i sapientoni alla moda hanno messo i giovani frivoli nelle condizioni di poter dettare il tono dell’esistenza e gli uomini hanno sacrificato il loro gusto alle tiranni della loro libertà2, e dove uno dei sessi non ha il coraggio di approvare qualcosa che non sia adatto alla pusillanimità dell’altro, da cui segue che vengono scartati autentici capolavori teatrali e veri prodigi d’armonia vengono rifiutati? Cosa potranno fare, se non abbassare il loro genio al livello dei tempi in cui vivono, preferendo comporre opere banali che però potranno essere ammirate mentre sono ancora vivi, piuttosto che lavori meravigliosi che verranno ammirati solo molto tempo dopo la loro morte?
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Così la dissoluzione dei costumi, conseguenza necessaria del lusso, porta con sé anche i disfacimento della sensibilità estetica. Se invece per caso ci fosse tra gli uomini di talento qualcuno con la giusta fermezza, che rifiuti di inchinarsi al genio del tempo e di avvilirsi producendo cose puerili, ebbene: guai a lui! Morirà sena un soldo e dimenticato da tutti.

Sin dai primi nostri anni di vita un’educazione insensata adorna il nostro spirito e corrompe la nostra capacità di giudicare. Vedo dappertutto edifici enormi dove facciamo crescere a caro prezzo i giovani perché imparino tutto, fuorché i loro doveri. I vostri figli ignoreranno la loro lingua madre, ma ne parleranno altre che non si usano da nessuna parte. Sapranno comporre versi che si capiranno a fatica. Non sapranno distinguere l’errore dalla verità, ma in compenso saranno bravissimi nell’arte di renderla incomprensibile a tutti usando argomenti speciosi. Parole come «magnanimità», «temperanza», «umanità», «coraggio», non sapranno cosa vogliono dire. Il dolce nome «patria» non colpirà mai le loro orecchie, e se sentiranno parlare di Dio sarà per averne paura piuttosto che rispetto. Un saggio diceva che avrebbe preferito che i suoi studenti passassero altrettanto tempo a giocare alla pallacorda che a studiare: almeno il loro corpo ne avrebbe tratto giovamento. Che cosa dovrebbero imparare quindi? Ecco davvero una bella domanda! Imparino quello che dovranno fare una volta che saranno diventati uomini, e non quello che dovranno dimenticare.3


I nostri giardini sono decorati di statue e le gallerie ospitano quadri. Cosa pensate che raffigurino questi capolavori esposti all’ammirazione del pubblico? I difensori della patria? O quegli uomini più grandi ancora che l’hanno arricchita con la loro virtù? No! Rappresentano tutti i traviamenti del cuore e della ragione, ricavati dalla mitologia antica e spiattellati davanti alla curiosità dei bambini, senza dubbio perché abbiano sotto gli occhi i modelli di cattive azioni prima ancora che imparino a leggere.
Da cosa nascono queste storture, se non dalla funesta disuguaglianza tra gli uomini, creata dalla sopravvalutazione dei talenti e dal disprezzo della virtù? Ecco l’effetto più evidente dei nostri studi e la più pericolosa delle loro conseguenze. Non si chiede più a un uomo di essere onesto, ma di avere capacità; un libro non deve essere utile, ma ben scritto. Un bello spirito viene ricoperto d’oro mentre la virtù rimane senza onore. Ci sono mille premi per un bel discorso, nessuno per le belle azioni.

Noi abbiamo un sacco di gente che studia fisica, geometria, chimica, astronomia, così come un mucchio di poeti, di musicisti e di pittori: ma non abbiamo più cittadini, o se ce ne sono ancora sono dispersi nelle campagne abbandonate, dove si spengono poveri e disprezzati

Che cos’è la filosofia? Che cosa ci dicono i libri dei filosofi più conosciuti? Quali sono gli insegnamenti di questi «amici della saggezza»? A starli a sentire, sembrano solo un branco di ciarlatani in piazza. Ognuno di loro grida: «Venite da me, sono il solo che non vi inganna!» Uno pretende che i corpi non esistano e che vi siano solo le loro rappresentazioni mentali; l’altro, che non esista sostanza oltre la materia e che dio coincida con il mondo stesso. Uno dichiara che «vizio» e «virtù» non esistono e che il bene e il male dal punto di vista morale sono semplici illusioni; l’altro afferma che gli uomini sono dei lupi per gli altri uomini e che quindi possono sbranarsi tra loro in perfetta buona coscienza. O grandi filosofi! Perché non vi limitate a raccontare queste cose ai vostri amici e ai vostri figli? Voi ne sareste subito ricompensati, e noi non dovremmo preoccuparci di trovare tra i nostri figli e i nostri amici qualcuno che è rimasto scottato da voi.

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Ma se il progresso del sapere vacuo e lo sfarzo delle arti non ha aggiunto nulla alla nostra vera felicità, ma al contrario ha portato alla corruzione dei costumi, che a sua volta ha portato alla degenerazione della sensibilità estetica, che cosa dovremmo pensare di quella massa di autori da quattro soldi che hanno rimosso dai templi delle Muse quelle difficoltà che ne impedivano il saccheggio e che la Natura stessa vi aveva messo per mettere alla prova chi avrebbe avuto la tentazione di impadronirsi del sapere? Che opinione dovremmo avere di quei meri compilatori che hanno indiscriminatamente spalancato le porte del sapere e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna di avvicinarvisi? Sarebbe stato molto meglio se chi non poteva sperare di andare avanti nella carriera letteraria fosse stato bloccato sulla porta e fosse stato avviato a qualche attività pratica utile alla società. Chi sarebbe stato per tutta la vita un mediocre poetastro, o si sarebbe limitato a essere un pedissequo studioso di geometria, avrebbe potuto magari creare delle stoffe meravigliose. Quelli che la Natura ha destinato a farsi dei discepoli non hanno avuto bisogno di maestri. I vari Bacone, Cartesio, Newton, questi veri precettori del genere umano, non hanno avuto bisogno di avere a loro volta dei maestri. D’altronde, quali guide avrebbero mai potuto condurli là dove il loro immenso genio li ha effettivamente portati? I normali insegnanti non avrebbero potuto fare altro che rimpicciolire la loro intelligenza rinchiudendola negli angusti limiti della loro. È affrontando i primi ostacoli da soli che hanno imparato a superarli e che si sono esercitati a superare gli spazi immensi che hanno poi percorso. Bisogna permettere di darsi allo studio della scienza e delle arti solo a coloro che sentono dentro di sé la forza di marciare sulle loro orme e di superarli. Sono questi pochi che possono elevare monumenti per la gloria dello spirito.

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Che i re non disdegnino [quindi] di ammettere nei loro consigli le persone più adatte a consigliarle bene. Rinuncino a quel pregiudizio inventato dall’orgoglio di nobili, secondo cui l’arte di condurre i popoli sarebbe più difficile di quella di rischiarare le loro menti, come se fosse più facile ottenere che gli uomini si comportino spontaneamente in modo moralmente corretto piuttosto che costringerli con la forza! Che i veri sapienti vengano accolti nei cuori dei sovrani, e che ottengano la sola ricompensa degna di loro: quella di contribuire col loro credito alla felicità dei popoli cui hanno insegnato la saggezza. Solo allora si potrà vedere cosa possono ottenere virtù, conoscenza e autorità che lavorano insieme per la felicità del genere umano, spinte da un nobile desiderio di reciproca emulazione. Ma fin quando il potere sarà solo da una parte e la luce dell’intelligenza e della saggezza solo dall’altra, allora i saggi raramente concepiranno grandi cose, i principi ancora più raramente ne faranno di belle e il popolo continuerà a essere vile, corrotto e infelice.

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